venerdì 18 luglio 2008

il sacchetto di carta

Silva presagiva che c’era qualcosa di diverso dal solito, ora che era giunta notte.

L’inquietudine che la agitava era soffocante quanto e più della calda giornata trascorsa tra il computer e il giardino, tra il lavoro e la pausa doccia, tra un caffè e le coccole al cane.

Nella casa di campagna, come ogni sera, tutte le finestre e le porte erano state aperte: l’aria cominciava a rinfrescare le stanze. La corrente, leggermente umida faceva ondeggiare le tende.

Silva amava quei momenti notturni. Indossava una lunga e leggerissima tunica in lino e si accomodava nel piccolo salotto.

Il televisore era spento, le luci pure. Flik si era accucciato ai suoi piedi, pronto a seguirla fedelmente ogni volta che si alzava dalla sua poltrona preferita. Amava soprattutto osservare le ombre create dalla luce che arrivava dall’esterno.

I lampioni lungo la strada d’accesso alla sua casa non erano tutti in funzione. Dopo la mezzanotte solo uno su tre era acceso. La luce che entrava in casa era filtrata dalle tende leggere in organza trasparente che aveva scelto quando aveva deciso di chiudere con un passato frenetico e cambiare casa, lavoro, vita.

Ogni stanza quindi assumeva il colore delle tende. Ecco, era riuscita a creare la sua dimora caleidoscopica: morbida, sensuale e variopinta, persino a luci spente, anche durante la notte. In quella casa si sentiva proprio come se indossasse un abito desiderato per lungo tempo. Non c’erano porte che separassero una stanza dall’altra. Non spazi da difendere o limiti da valicare. Solo i bagni erano stati attrezzati con porte a scomparsa che però, se non riceveva ospiti, restavano nascoste nelle pareti.

Passava ore ad ascoltare i rumori della notte. Pochi creati dall’uomo. Il ronzio lieve del computer, quello del frigorifero e della ventola che aveva installato in cucina, talvolta anche quello di qualche lampada dei lampioni che funzionava male ed era intermittente.

La natura non taceva. Mai.

Gli alberi da frutta del giardino, quando il vento aumentava la sua forza, vibravano di solidità e robustezza e ogni tanto qualche frutto troppo maturo cadeva con un tonfo soffocato.

I tigli invece, quelli lungo la strada, frusciavano come se sciarpe in seta intrecciassero una danza con fogli di carta velina e durante la fioritura profumavano l’aria di nostalgia: l’infuso per la tosse che nonna le preparava quand’era bambina.

Gatti in amore difendevano il loro territorio con miagolii strazianti, pianti di bimbi, per poi arrivare alla lite, dura, cattiva, naturale.

Flik alzava le orecchie e la guardava scodinzolante ogni volta che li sentiva. Silva sorrideva, lo accarezzava e lo bloccava prima che partisse alla ricerca dei litiganti.

In lontananza i cani da guardia delle ville ogni tanto davano il via ad un concerto a canone. Ognuno di loro sembrava voler conquistare il posto di solista. Poi si calmavano, togliendo pian piano la voce dal coro. Spesso ne rimaneva uno che ogni tanto abbaiava piano, ritmicamente, con suono monocorde o con un latrato colmo di solitudine: era il pastore tedesco della villa grande, quella abitata solo per pochi mesi in inverno. Il suo Flik invece sbuffava, infastidito …

Grilli insonni e iperattivi erano il costante sottofondo estivo, elemento immancabile della sinfonia.

Quando la quiete si era diffusa in ogni angolo della casa, Silva allora completava il suo rituale: lentamente, a piedi nudi, passeggiava affiancata dal suo silenzioso amico a quattro zampe che la seguiva come un’ombra. Altri graditi rumori: lo scricchiolio del pavimento di legno che cedeva sotto i suoi passi e le unghie di Flik che ticchettavano …

Passando da una stanza all’altra accarezzava i vecchi mobili restaurati con cura, con la gioia di aver ridato vita a cose che altri avevano buttato. Entrava in bagno, si preparava per la notte avvolta dalla luce verde e passava nel suo regno blu: la stanza da letto.

Quella notte invece …

Il desiderio di chiudere tutte le porte si faceva sempre più doloroso e forte ma lei restava seduta, combattuta tra la volontà di non ricadere in un passato fatto di paure e la saggezza, frutto di sofferenze cristallizzate, che le aveva fatto scattare il campanello d’allarme. Ripeteva mentalmente che la sensazione che stava per accadere qualcosa poteva anche riferirsi a un evento piacevole: magari qualche amico che veniva a farle visita … eppure non riusciva a ritrovare la sua abituale tranquillità.

Quanto mancava al mattino?

Scelse di non andare a letto: un buon compromesso. Sarebbe rimasta sveglia e con le porte aperte.

Stava quasi per addormentarsi quando Flik iniziò a ringhiare.

Capì all’istante che la sua intuizione non era sbagliata. S’irrigidì rimpicciolendosi sulla grande poltrona che la nascondeva tutta e che divenne il suo rifugio. Allungò una mano per bloccare il suo angelo custode, pronto a scattare per difenderla. Con l’altra stringeva il cellulare.

La ghiaia del viale scricchiolava sotto i passi di qualcuno che stava avanzando …

Dalla porta entrò quello che sembrava essere un uomo, dal portamento dimesso, non molto alto, magro, il volto nascosto dall’oscurità. Flik restava in silenzio, teso, la coda in leggero fremito.

L’uomo si fermò per un attimo, abituò lo sguardo al buio e senza cercare di accendere le luci si spostò lentamente, attraversò la stanza ed entrò in cucina. Silva pensò immediatamente al ceppo pieno di coltelli sul banco da lavoro e sentì che lo sconosciuto ne aveva preso uno. Un lungo brivido, freddo come la lama che stava immaginando, la invase con angoscia. Sudori freddi accrescevano la sensazione di essere imprigionata in un blocco di ghiaccio. Era paralizzata dal panico, sensazione già vissuta.

Improvvisamente un cono di luce illuminò la stanza. I rumori erano ingigantiti dalla sua paura ma in realtà l’uomo si muoveva con destrezza. Quasi in perfetto silenzio. La luce in cucina fu spenta e lo scatto dell’interruttore le parve un rumore nemico.

Il tempo non passava mai. Altri impercettibili, indefinibili fruscii. Pochi passi leggeri e fu silenzio. Flik era nuovamente rilassato, l’uomo era uscito dalla porta della cucina e si stava allontanando.

Silva si alzò. Entrò in cucina, accese la luce.

Vide immediatamente, sul banco da lavoro il sacchetto per il pane vuoto, strappato ma steso e posato vicino a un bicchiere sporco. Lo prese e lo guardò sorpresa: poche righe scritte in stampatello sulla carta stropicciata, forse con una matita spuntata che aveva lasciato qualche graffio. Il carattere era minuto ma deciso. Lesse:

grazie signora

per il cibo e

per le sue porte aperte


lunedì 14 luglio 2008

cinque minuti

Giorgio camminava lentamente nel parco lungo il fiume. La calda giornata estiva non era limpida e un velo di foschia dava al paesaggio un senso di quiete più irreale del solito. Pensieroso si dirigeva verso quella che ormai era diventata la sua panchina, quella da cui avrebbe potuto, alzando gli occhi dal suo inseparabile libro, vedere il piccolo ponte di legno seminascosto dai grandi pioppi.

Le chiavi agganciate al passante dei jeans tintinnavano ad ogni passo e l’acqua nella bottiglietta che sporgeva dallo zaino sembrava adeguarsi ritmicamente allo sciabordio delle acque che fluivano entro gli argini erbosi.

Pochi passi ancora lungo il viale che gli operai del comune mantenevano ben curato e finalmente avrebbe sfilato le scarpe posando i piedi nudi e accaldati sull’erba. Già pregustava il sollievo quando, dopo essersi seduto, avrebbe ripreso la lettura in uno dei pochi luoghi freschi della città.

Alzò gli occhi e si bloccò: una ragazza mingherlina, dai lunghi e lisci capelli rossi occupava la sua panchina. Rimase in piedi, immobile come un cervo nella notte illuminato dai fari di un’automobile.

Non capiva.

Si era accorta di lui? Era impossibile non notare lo sconosciuto lungo il viale ma lo sguardo della piccola donna non lasciava intendere che nel suo campo visivo fosse entrato un nuovo elemento.

Con calma riprese a dirigersi verso la panchina. In fondo, pensò, era abbastanza comoda per tre persone quindi avrebbe salutato e posato lo zaino, occupato il lato opposto e sedendosi avrebbe aperto il libro spiegandole sorridendo che “frequentare” quella panchina era per lui una piacevole consuetudine.

Nonostante la strategia ben pensata però i suoi passi si fecero sempre più lenti e i suoi occhi non riuscivano a staccarsi da quelli della misteriosa rossa. Possibile che ancora non l’avesse notato? Sembrava una statua, anzi, un ologramma i cui contorni si ammorbidivano nella foschia. Giorgio invece in un attimo aveva notato ed elencato mentalmente ogni dettaglio e già sul volto gli si era presentato un sorriso curioso.

Piccola, la carnagione chiara, con tutte le curve al posto giusto, sembrava una regina seduta sul trono. I piedi uniti, con le unghie curate ma non laccate, erano separati dall’erba dalla sottile suola in cuoio dei sandali infradito. Le gambe erano seminascoste da una gonna in lino leggero che quasi si mimetizzava con il verde della vegetazione e della panchina. Le spalle diritte erano libere: un top nero senza spalline la fasciava e sembrava miracolosamente essere sostenuto dal nulla. Gioielli semplici: orecchini a cerchietto piccolissimi e un insolito ciondolo infilato in un cordino di caucciù che arrivava appena sopra il top. Le mani in grembo, la destra sopra la sinistra, erano l’unico elemento di rilassatezza che traspariva dalla postura.

Si stava avvicinando e ancora non aveva distolto gli occhi dallo sguardo della sconosciuta. Sembrava non vederlo eppure quello sguardo apparentemente privo di espressione era stato indagatore e Giorgio era certo che di lui avesse visto anche quello che finora nessuno aveva conosciuto. Il sorriso curioso divenne imbarazzato e la strategia di avvicinamento gli sembrò sempre più stupida e banale. Era mai possibile che quei profondi occhi scuri non lasciassero trapelare una minima emozione definibile?

Ormai c’era poco da fare. Era arrivato e cambiare idea sarebbe stato infantile.

In piedi, davanti alla ragazza si accorse che gli occhi, colpiti da un raggio di luce diretta, erano verdi e mentre sorpreso si preparava a salutarla lei improvvisamente si alzò, fece pochi passi allontanandosi e si voltò verso Giorgio.

Lo sguardo della sconosciuta era ora divertito, sfacciato, senza perdere nulla del magnetismo e del fascino che dall’inizio lo aveva colpito. Giorgio, sempre più attonito, rimasto a bocca aperta con le parole in gola la osservò mentre si riavvicinava e accostandosi all’orecchio gli sussurrava pianissimo: ” la Gioconda mi fa un baffo, non credi?”

Scoppiò a ridere buttando la testa all’indietro e si allontanò, sempre ridendo. Giorgio rimase basito, immerso in una nuvola di profumo e pensieri confusi, con il desiderio di conoscerla e rivederla.

Il primo attacco di balbuzie della sua vita si presentò puntuale, a confermare la legge di Murphy.

“La Gio…Gio…Gioconda?”

Grazie a Giuseppe Gatto per il “gioco delle idee” dal quale è uscita la "nota" giusta per “chiudere un pezzo jazz senza stonature pop”.


giovedì 10 luglio 2008

l'alieno

Cristina aprì gli occhi e accese la luce!

Riabbassò le palpebre in un lampo e ripensò alla frase che suo padre ripeteva spesso: “alla sera leoni, al mattino …” .

Che sgradevole risveglio!

Era infreddolita, quasi gelata eppure il cuscino era umido, la maglietta intrisa di sudore, le lenzuola aggrovigliate. Senza contare la bocca asciutta e le guance irruvidite dal sale delle lacrime versate nel sogno a testimoniare l’incubo da cui non era riuscita a scappare e che aveva drammaticamente vissuto. Doveva smetterla con le serate del giovedì: troppe chiacchiere, troppi film horror e di fantascienza, alcool e fumo a iosa alternati dall’ingestione di un po’ di cibo, magari qualche schifezza che poteva rallentare la sbronza. Sorrise pensando all’ultima visita medica:

“Signorina, lei beve, fuma, fa uso di sostanze illecite o prende farmaci che possono incidere pericolosamente sulle attività quotidiane?”

“Beh dottore, bevo quando mangio e fumo se sono in compagnia. Se mi sento ansiosa, invito gli amici, mangiamo qualcosa e ci guardiamo un bel film! In fondo faccio una vita normale, dai ritmi regolari.”

La serata precedente stava a ciò che aveva riferito al medico come un testo di filosofia di trecento pagine stava a un “Bignami”, con le dovute omissioni sui fatti di “secondaria” importanza. L’unica deleteria abitudine che era riuscita ad evitare era il ritrovarsi a letto con Gianni. Amico di letto. Beh, amico era un’esagerazione …

Va bene, evadere dalla quotidianità le era indispensabile, ma il livello di autolesionismo stava diventando pericoloso. Mai avrebbe immaginato di arrivare a tanto!

Si sedette sul bordo del letto, i piedi freddi toccarono il pavimento che le sembrò caldo, accogliente. Alzandosi ripiombò nella consuetudine: doccia, caffè, radio in sottofondo e … lavoro. L’umore migliorò quasi subito: la prima canzone del giorno era degli U2 e canticchiandola si spostò verso la scrivania con la tazza in una mano e gli occhiali nell’altra. Il mal di testa le era quasi passato.

Accese il computer e prima di tutto controllò la posta. Vide un paio di spam, alcune richieste di lavoro, tre e-mail personali: Marta, Claudio …

Sgranò gli occhi, impallidì, rilesse con attenzione certa di aver sbagliato. Possibile?

Una era di Franz!

Tachicardia e sudori freddi, ma la aprì e lesse.

Ciao Crisky, se non hai cambiato abitudini la prima cosa che farai dopo aver bevuto il caffè, sarà controllare la tua posta. Mentre annotavo gli appuntamenti sull’agenda, mi sono reso conto che domani sarà il giorno del tuo compleanno. Non me la sono sentita di telefonarti, anche se così rinuncio a sentire la tua voce. Non so se ti farà piacere, visto che tra noi le cose sono andate come sai, ma voglio comunque farti gli auguri! Che il tuo prossimo anno sia ricco di piacevolezze e che tu possa trovare ciò che cerchi e ottenerlo!!!

Immagino che festeggerai con i soliti amici … Mi vorresti alla tua festa?

Ti penso spesso e vorrei rivederti. Per me niente è cambiato … Io, beh … sono ancora innamorato di te. Scrivimi, o se ti va, chiamami!

Ciao.

Franz

Gli U2 rimbombavano nella sua testa come se il volume della radio fosse stato alzato al massimo portando il suono in distorsione. Cristina perse la sua cinica lucidità. Entrò nel suo personale film di fantascienza. L’alieno entrò in agitazione. Sentì che dentro di lei si stava contorcendo.

Da quanto tempo non lo sentiva più, credeva di averlo ucciso, di essere riuscita a espellerlo.

Invece proprio mentre leggeva “quella” e-mail, ecco che le lunghe unghie del mostro, taglienti come se durante il lungo periodo di quiete non avesse fatto altro che affilarle, graffiavano, ancora non violentemente. Era pronto scatenarsi. Voleva farsi vedere, essere liberato.

Si stava ingrandendo come un gatto che si stesse stiracchiando e riempiva il suo petto comprimendo cuore e polmoni … Aria, aveva bisogno d’aria. Doveva alzarsi. Provò a camminare ma non riuscì a stare meglio e si stese sul divano. Lo stomaco era stretto dal vortice della nausea: non capiva perché quell’essere continuasse a vivere in lei, si muovesse internamente e nonostante ciò lei si sentisse stritolata dall’esterno, schiacciata da un rullo compressore … gli alleati di quell’essere inquietante erano forse intorno a lei?

Non le servì riflettere a lungo, la sua intuizione fu all’istante confermata: controvoglia, con grande tristezza e malinconia, dovette accettare l’idea che ora Franz era il suo alleato. Ogniqualvolta Franz rientrava nella sua vita, con un regalo ritrovato in un cassetto, con una canzone o un ricordo, anche solo con il pensiero, l’alieno si risvegliava e la feriva. Franz lo alimentava, con memorie di dolore o di gioia, indifferentemente.

Basta! Non importa cosa avrebbe dovuto fare per liberarsi di entrambi, quello non era vivere. Decise di concedersi una speranza di resurrezione o d’immaginarsi araba fenice, ma quell’uomo e il demone inquieto sarebbero usciti dalla sua vita ad ogni costo!

Pensava che le lacrime versate li avessero allontanati, come sale che fa staccare le sanguisughe dal corpo di cui si nutrono. No, così non era stato. Loro avevano opposto una strenua resistenza lasciandola dissanguata.

Sperava che tutto l’alcool che aveva bevuto, in compagnia o in solitudine, avesse generato una specie di disinfezione e che il campo fosse ormai sterile. Niente ancora: si era quasi distrutta e loro erano ancora presenti e vitali.

Si era convinta che analizzando con masochistica intenzione ogni attimo vissuto con lui e prima di lui, la radice della pianta che era loro nutrimento fosse stata estirpata. Niente da fare: la chiarezza di pensiero li aveva resi sempre più forti al punto che la fragile pianta stava morendo perché quella devastante alleanza la soffocava, avviluppata come un’edera parassita, un vischio velenoso.

Erano veramente immortali, erano i ricordi dell’anima, non quelli della mente … Una lobotomia non sarebbe bastata a placarli. Erano in grado di sopravvivere nello spazio e nel tempo, in ogni condizione atmosferica, in ogni stato fisico, oltre la morte. Erano frammento del cosmo.

Come lei.

Allora? Avrebbe smesso di combatterli perché non possedeva armi per sconfiggerli. Rimaneva un’unica e ultima strada, quella che aveva sempre rifiutato e ancora non avrebbe voluto percorrere.

Cominciò a credere che un’integrazione fosse possibile. Nessuna lotta di potere. Semplicemente una resa incondizionata. Poteva stipulare un vero e solido trattato di pace dettato dal comune obiettivo: vivere liberi, procedere insieme e separatamente. Il mostro interiore e tutti quelli che lo alimentavano ambivano solo a raggiungere la libertà, l’indipendenza.

Come lei.

Ecco, Cristina si lasciò andare, accettò il suo destino, quello che condivideva con il genere umano: era una portatrice di anima aliena, ancora inesplorata, potenziale amica o nemica. Stava a lei definire il rapporto.

Silenzio, assenza di dolore, massaggio balsamico …

Nessuna catarsi, solo metamorfosi. Cristina e l’alieno? In pace. Erano ora amici, invincibili alleati. Tanto prolungato tormento ed era bastata una frazione di secondo per comprendere e trovare la chiave per aprire le porte e liberare tutti: se stessa, la sua anima e … Franz.

Con il dorso della mano asciugò le lacrime che nemmeno si accorse di aver versato. Si alzò, scelse un cd di musica africana. Regolò il volume, abbastanza alto da coprire il battito veloce del cuore ma non tanto da disturbare i vicini di casa e dondolando la testa al ritmo della canzone ritornò in cucina, si versò un altro caffè e lo sorseggiò lentamente con la schiena appoggiata al frigorifero. Stava già pensando a come rendere “reale” il suo viaggio nell’inspiegabile e a chiudere l’episodio in modo chiaro, definitivo. Posò la tazza e si diresse nuovamente al computer.

Aprì la seconda e-mail, quella di Marta:

Ciao Cri, perdona l’errore ma dovevo allegare la lettera di Franz a questa mail. Invece sono partite separatamente. So che avrebbe voluto che la ricevessi ed io ho pensato di fartela leggere. Poco tempo fa, mentre riordinavo i documenti di mio fratello, ho trovato la password della sua casella di posta e tra le bozze c’erano gli auguri che lui non ebbe la possibilità di spedirti l’anno scorso. Poi...

Questa sera ci ritroveremo da Claudia per un brindisi di commemorazione … ci sarai anche tu? Spero di vederti, ora che sai …

Un bacio.

Marta

Le labbra di Cristina si curvarono appena in un sorriso indefinibile mentre rifletteva sulla strana sincronia degli eventi, ma il suo cuore si era già aperto in una bella risata. Bizzarre coincidenze. Voleva dare un diverso indirizzo alla sua vita? Non sapeva come fare? Le indicazioni erano arrivate, inaspettate, attraverso due brevi e-mail. Il passato era riapparso per riordinare il presente! Rispose a Marta:

Cara Marta,

Verrò. Con gioia. Ricordare Franz e le sue follie mi sembra un ottimo modo per “riportarlo tra noi” e grazie al tuo “errore” ora io mi sento meglio … meglio davvero, soprattutto perché controllando le mail, dopo i bagordi di ieri, mi è venuto un “coccolone” gigante! Ti racconterò … Non so come avvisare Giorgia e Fabio. Li inviti tu? Quei due, su tuo fratello e gli scherzi idioti con cui si divertiva alle nostre spalle, ne sanno molto più di te!

Baci baci!

Cri.

Un click su “invia” e percepì una nuova leggerezza. Un lungo sospiro e … rispose anche a Franz.

Grazie Franz,

con piacere ho ricevuto i tuoi auguri di Buon compleanno. Credo che quest’anno, finalmente, festeggerò alla grande! Non sai quanto ti sono grata. Sono sicura che prima o dopo ci rivedremo … Credo che da ora il tuo augurio diverrà il mio motto! Realizzerò i miei sogni, quelli che non molto tempo fa ci hanno diviso e che oggi ci hanno “riunito” … Ti scriverò più spesso e ti terrò aggiornato sulle novità.

Un eterno e “fantascientifico”abbraccio.

Crisky.

P.S.: credo che la tua mail partita per errore sia un altro dei tuoi scherzetti! Proprio non riesci a smettere eh?

Un click su “salva bozza” e sul suo volto scese una lacrima sorridente.

Anche l’alieno ridacchiava danzando …

domenica 6 luglio 2008

il mondo

Erica ha scelto: la gonna morbida color tabacco, la maglietta avorio senza maniche, scarpe e borsetta cioccolato.

Cammina inquieta nella sua casa e pensa agli accessori. Decisa, apre il cofanetto dei suoi preziosi cristalli e sceglie con cura una catenina d’oro, uno splendido ciondolo in ambra che proviene dal Chapas e una coppia di orecchini pendenti con frammenti in resina dorata che disegnano un ventaglio.

Mentre li indossa si sposta verso il soggiorno e nel momento in cui infila il secondo orecchino, la testa leggermente inclinata, guarda distrattamente fuori dalla finestra. Si blocca. Le manca il fiato. Una figura vestita di nero è in fondo al viale che conduce alla sua casa. Eppure ora deve ignorarla. Ciò che si mostra ai suoi occhi è velato di pura magia.

Il viale è circondato da giardini talmente ben curati da sembrare il quadro di un pittore realista.

Tutto tace. Il silenzio è rotto solo dal leggero rumore dell’acqua che scende dalle grondaie. La pioggia sta cadendo leggera, silente e luminosa.

Non ci sono bimbi che giocano e gli animali hanno trovato riparo. La strada è troppo lontana e non si sente il rumore del traffico. Non c’è vento eppure le fronde fiorite degli alberi sembrano vivere di vita propria, felici di ondeggiare nel delicato impatto con l’acqua che dona loro una brillantezza speciale.

La vegetazione verde smeraldo è frammista a macchie gialle, traslucide come agglomerati di topazi cui si accostano, lungo il bordo del viale, fioriture che appaiono simili a concrezioni di ametiste e quarzi rosa.

Erica percepisce l’incontro tra i due mondi, quello minerale e vegetale. Si perde in quella dimensione vibrante e vitale e vive la meraviglia di quell’unione.

L’incontro.

Il pensiero la scuote e riprende contatto con la realtà.

E’ giunto il momento di uscire. Indossa l’impermeabile, prende la borsa e senza chiudere a chiave la porta imbocca il viale.

Cammina lentamente con il viso rivolto al cielo, pronta a farsi illuminare dall’acqua e dalla bianca luce solo per lui, che la aspetta laggiù, alla fine della strada.

Il cuore batte leggero e veloce.

Un abbraccio sotto la tiepida pioggia estiva, un bacio allegro, intenso seppur frettoloso e solleticato dalle gocce che scivolano sui loro volti.

L’incontro.

I loro diversi mondi.

Il loro unico mondo.


martedì 1 luglio 2008

l'albero della fiducia


Benvenuto!

E’ il sorriso con cui ti apro la porta, il sorriso curioso di chi guarda il mondo con sguardo diretto, senza veli e nebbie, malizioso e forse un po’ imbarazzato.
Femminile e rotondo il mio sorriso, capace di aprirsi alla risata ma anche abile nello stringere i denti e bloccare ogni intruso dell’anima senza trasformarsi in un ghigno o in un attacco mellifluo.
Posso raccontarti tante storie: ciniche o divertenti, serie ed impegnate, tenere ma non sdolcinate eppure la mia bocca rimarrà chiusa in un sorriso finché non ti sarai fatto conoscere, almeno un po’, almeno con un sorriso.

Non parli? Allora ti osserverò.
Non agisci? Allora guarderò con attenzione il tuo immobilismo e coglierò anche nella tua voluta staticità il segno della possibilità, perché non voglio concedermi un pensiero di diffidenza assoluta.

Non mi guardi? Allora volgerò lo sguardo al cielo per cercare quell’intuizione che confermi la mia fiducia … perché se ora ti ho dato il benvenuto e ti sto parlando intuisco l’importanza del nostro incontro e forse tra le nuvole o tra le stelle coglierò un segnale. E tu contemporaneamente comprenderai quanto è sgradevole essere presenti ma non essere guardati, non riconosciuti, non considerati …

Nella mia e nella tua solitudine del momento, nel grande silenzio mi raccoglierò, chiuderò gli occhi e mi ascolterò. Entrerò in ogni cellula del mio corpo, ne ascolterò il ritmo e la forza generatrice, il palpito della vita che vuole vivere. Nel momento di massima pienezza e completezza, come sempre, le ben note parole si formeranno nella mia mente cadendo sull’anima senziente e libera come lettere a comporre la soluzione di un rebus : “non esiste l’incontro casuale”…
… sicuramente comincerò a raccontarti le mie immaginifiche favole di vita reale, seminerò pensieri sperando di condividere con te emozioni, ideali e concretezze.

Allora mi parlerai e mi farai partecipe dei frammenti della tua vita che sono importanti, ridendo fino allo sfinimento, piangendo come bambino senza imbarazzo, mi esporrai con fronte corrucciata i più impegnativi progetti che ti preparerai ad affrontare …

Ci ascolteremo. Passo dopo passo ci conosceremo.

Solo allora potrò volgere lo sguardo a terra, ti darò la mano e ti inviterò a guardare con me ciò che sarà finalmente visibile: il germogliare di una pianta solida, nata dal gioco della fiducia e che entrambi cureremo al meglio, proteggeremo dagli attacchi del tempo e degli elementi, dalle aggressioni curiose o distruttive dei nostri simili. Tutti vogliono i frutti dell’albero della fiducia ma pochi sanno seminare …
Faremo vedere al mondo come si fa.